Everything Everywhere All at once è uno di questi casi in cui folle è sinonimo di geniale: visionario, quasi dadaista e inaspettatamente introspettivo. Il nuovo film diretto dai Daniels, pseudonimo di Daniel Kwan e Daniel Scheinert, vanta inoltre ben 10 candidature agli Oscar di questo anno: oltre che per il miglior film e il miglior regista e migliore sceneggiatura originale, vanta ben quattro candidature per quanto riguarda il cast; Michelle Yeon è candidata come miglior attrice, Ke Huy Quan come miglior attore non protagonista, mentre Stephanie Hsu e Jamie Lee Curtis si contendono il premio miglior attrice non protagonista. Il film ha inoltre altre candidature per quanto riguarda la colonna sonora, i costumi e il montaggio.
Insomma, un film che ha fatto sognare la critica e non solo, ma come mai tutto questo successo? Cosa rende Everything Everywhere All at once un prodotto così affascinante? Sicuramente il fattore shock: la maggior parte di ciò che lo spettatore vede è inaspettato, strano, in alcune parti si sfiora il grottesco, in altre il no-sense, ma questo è un film che va ben oltre lo stupore e semina minuto dopo minuto il dubbio che dietro tutti quei colori che invadono lo schermo, i mille incredibili universi mostrati, ci sia tanto di più, qualcosa di più profondo che ci appartiene.
Sono infatti molte le tematiche che vengono affrontate mai in maniera banale, dal rapporto madre-figlia con tutte le difficoltà che esso comporta, al desiderio di essere compresi. Desiderio che pervade molti dei personaggi che all’inizio sembrano quasi degli stereotipi: Evelyn è la donna forte, dedita al lavoro e molto legata alle tradizioni, Waymond è il marito accondiscendente che quasi subisce il volere della moglie, Joy è una ragazzina incompresa come tante altre e Deirdre è invece una delle tante impiegate inacidite dal lavoro. Tuttavia diventa sempre più evidente che dietro ogni personaggio c’è molto di più, c’è un passato che si srotola piano piano durante il film e che lo spettatore scopre con gli occhi stupiti della protagonista Evelyn, la quale entra sempre più in contatto con la vera natura dei rapporti che lei stessa ha formato con la sua famiglia. Molte sono le scene che supportano questa riflessione, anche quelle che lo spettatore non si aspetterebbe, scene quasi agrodolci che nella loro stranezza, portano avanti sempre di più la caratterizzazione psicologica dei personaggi.
Un film molto complesso nella sua leggerezza ed è forse questo uno dei suoi maggiori pregi: l’intrattenere lo spettatore senza annoiarlo, ma coinvolgendolo emotivamente in tanti modi diversi, incoraggiando anche diversi spunti di riflessione.